Salvare vite è la priorità (migrare un diritto)

Salvare vite è la priorità (migrare un diritto)

La tragedia che si è consumata sulle coste di Cutro ha nuovamente acceso i riflettori sul tema dell’immigrazione. Al di là delle frasi scomposte di qualche politico non possiamo rinunciare agli atti di umanità

La tragedia sulle coste di Steccato di Cutro ha riacceso i riflettori sui migranti e i loro viaggi della disperazione verso il nostro Paese. È una questione irrisolta perché non la si vuole risolvere. Sarebbe perfino inutile scriverne ma non possono passare sotto silenzio le infelici uscite di un ministro dell’attuale compagine governativa: non devono partire. Ancora una volta ci vuole il capo dello Stato Mattarella in visita a Potenza a ricordare che migrare è un diritto, soprattutto per chi scappa da guerre o per fame, rammentando che non bastano più le buone intenzioni, non serve granché nemmeno il cordoglio se non si promuovono fattivi piani di accoglienza, se non si lavora d’intesa con l’intera Europa, se non si arriva a una legge seria. Tutti sanno quello che si deve fare: presidiare le coste, fermare gli scafisti, stipulare accordi con i paesi di partenza, calmierare gli ingressi, confezionare un vero piano politico ed economico che risollevi le sorti dell’Africa, per la quale già Francesco ha speso parole dure a proposito dell’exploitation del Continente nero (“Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”): anche gli africani hanno diritto al loro futuro in Africa. Se l’avessero, non emigrerebbero. Ma prima di ogni opportuna soluzione c’è un’azione che non può essere mai dimenticata e che attiene alla legge del mare e, dunque, all’umano universale: salvare vite. A tal proposito mi è venuto in mente che il regista Edoardo De Angelis e lo scrittore Sandro Veronesi hanno di recente ricostruito la storia commovente del Comandante Salvatore Todaro (questo è proprio il titolo del bellissimo libro che diventerà un film) che imbarcandosi nel 1940 sul sommergibile Cappellini ha il compito di cannoneggiare il mercantile Kabalo battente bandiera belga ma alle dipendenze della nemica Inghilterra. Siamo in guerra. Ma succede l’inspiegabile: Todaro decide di far salire a bordo del sommergibile i nemici che hanno abbandonato la nave da lui affondata perché prima di tutto sono naufraghi. Decide di portarli in salvo su terra ferma: “Salvare vite è la cosa più entusiasmante che un uomo di mare possa fare”. Todaro scrive all’amatissima Rina: “Siamo in guerra, sì, e io lo so benissimo: però non siamo solo in guerra. Siamo in mare. E siamo uomini. E anche il mare ha le sue leggi, anche l’essere uomini le ha, guerra e non guerra”. E, poi: “Aver preso a bordo i naufraghi del Kabalo significa infrangere le regole che mi sono state date. […] Ma qui, ora, la mia decisione è presa, ed è irremovibile. Noi affondiamo il ferro nemico, senza paura e senza pietà, ma l’uomo, l’uomo lo salviamo! […] Rina carissima, oggi è un giorno fausto. Oggi noi e i nostri nemici, insieme, ci siamo salvati”. A questo punto voi vi chiederete cosa c’entra questa storia con Cutro. C’entra, eccome se c’entra. Perché la legge non scritta del mare, legge universale dell’umano, legge di civiltà, così come è stata sacra per un militare italiano della seconda guerra mondiale ancora di più dovrebbe esserlo oggi per i migranti che attraversano quel cimitero d’acqua salata che è diventato il Mediterraneo. Donne, uomini, bambini: non sono in guerra con nessuno, rischiano il tutto per cercare uno sputo di pace là dove non sono riusciti a costruirla. E questo piccolo grande sogno di futuro non c’è legge che possa umiliarlo né diniegarlo. Anzi, una legge degna di questo nome dovrebbe garantire ad ogni uomo, migrante o profugo o naufrago, quella giustizia che gli permetta di sentirsi degno di umanità. I cristiani celebrano la Pasqua del Figlio e hanno l’“obbligo” di sperare contro ogni speranza una vita risorta da morte per tutti quegli esseri umani che hanno perso (e pagato) la vita nelle innumerevoli guerre dimenticate, nelle folli traversate in terra e in mare, sotto le macerie del terremoto. Non possiamo farci auguri onesti senza affermare che un’altra vita, riscattata o risarcita, è sempre possibile. Noi siamo quelli che credono in quel Dio che ci assicurerà il secondo tempo.