La Cet, un cantiere in ascolto e il dialogo con la città

La Cet, un cantiere in ascolto e il dialogo con la città

Le comunità ecclesiali territoriali hanno inaugurato, a ottobre, il loro quarto anno di cammino. Istituite nel 2018, per volontà del vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, hanno ricevuto il mandato di promuovere e animare un nuovo cantiere di dialogo tra la chiesa e il mondo, tra la fede e la cultura, tra i cristiani e le città in cui vivono. Le Cet (comunità ecclesiale territoriale), che vorrebbero essere dei cantieri di dialogo, non hanno precedenti in terra bergamasca, perciò laici e sacerdoti, impegnati in modo diretto nella loro realizzazione, hanno dovuto saper immaginare e impostare un lavoro del tutto inedito. Hanno dovuto riflettere su come valorizzare il modo in cui i cristiani laici – in nome del battesimo – sono titolati a stare nel mondo (le terre esistenziali) testimoniando l’accadere del Regno e riconoscendolo all’opera. Sono tredici per tutta la diocesi. L’altro lato della “riforma” (o processo ecclesiale) sono le Fraternità presbiterali (in città sono tre e tengono il posto dei precedenti vicariati) che hanno il compito di istruire i cammini pastorali delle comunità.

Franco confronto
Il 24 novembre scorso al teatro Qoelet di Redona, il vicario della Cet 1, don Massimo Maffioletti, parroco di Longuelo, insieme ai cinque laici coordinatori delle terre esistenziali (Ilaria Cattaneo per le fragilità, Giorgio Lanzi per la festa e il lavoro, Francesco Mazzucotelli per la cittadinanza, Lucio Sisana per la tradizione e Anna Cremonesi per le relazioni d’amore) ha incontrato i consigli parrocchiali, di oratorio ed economici delle parrocchie cittadine. Si sentiva la necessità di un franco confronto in merito alla realizzazione di un’idea che forse ancora non è chiara, sulla quale forse non ci si è bene intesi. C’è sempre bisogno, dentro un tracciato, di fermarsi e schiarirsi le idee. L’incontro è stato preceduto dalla distribuzione – perché se ne facesse lettura – del documento-bozza “Il cantiere del dialogo”, nel quale sono state raccolte le riflessioni dei partecipanti attivi da condividere con i laici di ogni parrocchia. «La parte più visibile della Cet – spiega il documento – è il suo organo rappresentativo, il consiglio pastorale territoriale nel quale sono impegnati più di quaranta laici rappresentanti le parrocchie cittadine. In questi tre anni il Cpt si è impegnato a darsi un’identità, diviso fra la muscolarità (la Cet deve essere concreta, deve fare qualcosa) e la riflessività (dobbiamo muoverci con pazienza e umiltà, metterci in ascolto). Si è scelto il lavoro di pensiero perché si è reputato più importante guardarsi intorno, che agire solo per rendersi visibili».

Abitare la storia
Ha spiegato durante l’assemblea il vicario: «Del lavoro della Cet, almeno in città, non si è visto ancora nulla. Questo però non significa che non si è fatto nulla finora. Soprattutto, non significa che il lavoro di pensiero e discernimento di questi tre anni non sia stato esso stesso una forma dell’agire». Certo, la mancanza di risultati concreti fa insorgere dei dubbi: la direzione presa sarà quella giusta? Era questo che si richiedeva alle comunità ecclesiali al loro esordio? «Non abbiamo interpretato il mandato come se fossimo quella chiesa che si sente sempre in obbligo di intervenire su tutto» si legge nel “cantiere”. Il vicario, i laici referenti delle terre esistenziali, il consiglio pastorale territoriale hanno interrogato l’assemblea presente in sala, chiedendo consigli, giudizi, cercando di raccogliere idee. «La Cet è un metodo più che un’istituzione o una struttura. È il modo di abitare la storia in nome del vangelo» ha spiegato don Maffioletti. Questa sua affermazione è stata fra le meglio accolte dall’assemblea: molti degli interventi finali – ai quali è stato dedicato ampio spazio – hanno sottoscritto questa idea nella quale, evidentemente, ci si riconosce come persone in cammino, in cerca di stili della testimonianza. «La Cet non è tanto uno strumento di nuova evangelizzazione quanto semmai la maniera con cui i cristiani di una città provano a farsi fraterni compagni di tutti, guadagnando così credibilità, condizione oggi più che necessaria affinché il vangelo si annunci con libertà».

Il vangelo e l’uomo
Nel suo riflettere, la Cet cittadina si è data due criteri: il primato antropologico (i cristiani di oggi sono chiamati ad essere fraterni commensali di tuti gli uomini ed ascoltare l’umanità postmoderna) e il primato evangelico (la chiesa è chiamata a riconoscere il regno all’opera nella vita di tutti gli uomini). Si è data una finalità alla quale tendere: la fraternità e la cura fra uomini e donne del mondo. Si è data anche degli obiettivi: incontrare il mondo delle parrocchie della città, attraverso l’intervento nei consigli pastorali; incontrare i mondi cittadini, uscendo allo scoperto, comunicando con la città attraverso riflessioni, idee e, forse anche, proposte. Tra i suggerimenti espressi raccogliamo i seguenti inviti rivolti alla Cet: essere un luogo di formazione laicale e, perché no, di studio competente oltre che di passione culturale; proporre azioni simboliche-segno per sostenere il lavoro nelle parrocchie; porsi in ascolto del dolore e del disagio in tutte le sue forme (anziani, nuove generazioni); essere non enti operativi, ma strutture di ascolto e di pensiero attraverso cui l’amore che il cristiano custodisce possa diventare passione culturale, passione politica e desiderio di costruire una città più a misura d’uomo. Al termine della serata i coordinatori hanno sottolineato nuovamente che l’obiettivo più grande rimane sempre l’ascolto attento del tempo e dello spazio dell’uomo di oggi. È auspicabile che il confronto tra Cet e parrocchie continui. La necessità è stata percepita da tutti.