Questo mondo non mi renderà cattivo

Questo mondo non mi renderà cattivo

La nuova serie del fumettista romano Zerocalcare suggerisce una virtù derisa e poco considerata come la mitezza. Oggi più che mai il nostro tempo che appare in mano ai prepotenti ha bisogno di uomini miti.

Questo mondo non mi renderà cattivo è la nuova serie Netflix firmata dall’amatissimo Zerocalcare. Da vedere. Il fumettista romano come sempre pesca dalla vita di borgata, scandaglia i bassifondi umorali del popolo, tocca temi scomodi e lo fa senza badare alle convenzioni né ai buonismi (qui si parla di un centro di accoglienza di migranti della capitale), documentando la vasta gamma delle contraddizioni e dei luoghi comuni della società, sa dare voce al disagio senza darla vinta al pessimismo cosmico che spesso ci circonda (o del quale amiamo circondarci). Afferma, il nostro, che l’espressione che da il titolo “uno non se la può dire da solo ma io penso che si debba comunque credere che sia possibile non incattivirsi. Se no non ha più senso neanche avere delle bussole valoriali di nessun tipo. Se tu stai bene in un mondo che sta male prima o poi qualcuno ti viene a bussare alla porta”. Quando ho visto la serie tv mi è venuto subito in mente la lettera straziante che Antoine Leiris indirizzò agli attentatori del Bataclan dopo che nella strage parigina del 2015 avevano ucciso anche sua moglie. Mi è parso che il suo Non avrai il mio odio fosse non un atto di vendetta – adesso ve la farò pagare – ma il tentativo coraggioso di un uomo mite che nonostante la violenza e la barbarie, giustificate da un “mandato” religioso, avesse deciso di tenere in piedi il mondo perché il Male e l’Odio non possono mai essere l’ultima parola della vita sulla vita. Fosse così, ne andrebbe del senso stesso dell’avventura umana. C’è un di più di umano che resiste sempre, nonostante tutto, alberga in alcune coscienze riuscendo a respingere la tentazione di mandare alla malora tutto e farsi giustizia da sé. Non si lascia prendere in ostaggio dal cattivismo (non solo social) ma non gioca nemmeno nella metà campo di fastidiosi perdonismi. Allora mi sono detto che il non incattivirsi di Zero, anche quando ci sarebbero abbondanti ragioni, faccia parte di quell’arte gentile (ed evangelica) dell’umano che è la mitezza. Alla quale per altro il grande psichiatra Eugenio Borgna ha di recente dedicato un delizioso volumetto, come avevano già fatto precedentemente Carlo Maria Martini, Barbara Spinelli e prima ancora Norberto Bobbio. Il quale assicura che “il mite non serba rancore, non è vendicativo, non ha astio contro chicchessia. Non continua a rimuginare sulle offese ricevute, a rinfocolare gli odi, a riaprire le ferite. Per essere in pace con se stesso deve essere prima di tutto in pace con gli altri. Non apre mai, lui, il fuoco; e quando lo aprono gli altri, non si lascia bruciare, anche quando non riesce a spegnerlo. Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità”. La mitezza delle beatitudini di Gesù (vedi il discorso della montagna di Matteo) appare come una virtù oggi perdente, improbabile. Il mite passa per essere un ingenuo paolotto che non sa stare al mondo. Sì, perché il mondo appare saldamente nelle mani dei cattivi e dei prepotenti, ma bisogna resistere con tutte le forze a questa contro-evidenza. Guardo Zerocalcare e corro a rileggermi Le città invisibili di Italo Calvino. Il finale lascia a bocca aperta: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Di un umanesimo così inedito noi abbiamo ancora bisogno. I miti erediteranno la terra – dice il vangelo – perché avranno creduto che vivere la terra – questa – è, nonostante tutto, sempre possibile.

Guardo Zerocalcare e corro a rileggermi “Le città invisibili” di Italo Calvino. Bobbio diceva che il mite è colui che attraversa il fuoco senza bruciarsi.