In viaggio ad Assisi con i pre-ado della cresima

In viaggio ad Assisi con i pre-ado della cresima

La convivenza di tre giorni nella città del Poverello è stata l’occasione per conoscere maggiormente il mondo dei giovanissimi adolescenti. Tra mille sorprese e molte domande

Longuelo Comunità, DIARIO DI UN PARROCO DI PERIFERIA marzo 2024

Cosa può portare a casa di istruttivo un vecchio parroco dalla convivenza di tre giorni ad Assisi con i cresimandi? Da una parte non posso non guardare queste giovanissime generazioni con tenerezza e stupore: sono pur sempre i nostri figli che sbocciano alla vita e si affacciano sul mondo. Dall’altra il mix di ingenuità e l’aria già da navigati mi interpella. La carta d’identità mi avverte che non ho più l’età per queste uscite. Lasciatemi però precisare: vado e sto volentieri con loro, così come sto volentieri con gli ado più grandicelli quando facciamo le nostre gioiose incursioni nelle città europee come Berlino e Barcellona, Roma e Napoli, per citare gli ultimi esempi. Non so se loro stanno altrettanto bene con me. Mi accolgono, mi “portano dietro”, probabilmente un po’ mi sopportano, mi ascoltano pure (quasi tutti) quando offro loro spiegazioni storico-religioso-artistiche (ad Assisi li ho perfino intrattenuti con domandone da quiz televisivi), ma chissà come devo risultare al loro giovane sguardo. Di sicuro un po’ anzianetto. Sono in età da nonno. Il che non mi dà fastidio, non ho mai voluto giocare la carta giovanilista. La differenza anagrafica registra una certa distanza di sensibilità, di mentalità, modi di ragionare totalmente altri rispetto ai miei. E non sto affermando che i miei siano i migliori. Da queste loro modalità che definiscono anche uno stile di stare al mondo io, adulto nel ruolo di educatore e di “padre”, mi sento interpellato a comprendere, proprio perché non sempre li capisco. Non sempre trattengo la loro spontaneità relazionale (che però a volte tradisce fragilità e paure), quella maniera disinvolta e sbarazzina di palleggiare con gli affetti e parlare dell’intimità segreta e sacra di ciascuno, i giudizi tranchant e senza possibilità di appello, il rapporto con il corpo e con la sua “naturale” estensione tecnologica o protuberanza digitale, l’ansia di postare storie sempre sospese tra il giudizio insindacabile della Rete e l’attesa desiderosa di ricevere like come fossero gli unici riconoscimenti che contano o l’attestazione del proprio essere vivi. Soltanto un ragazzino non aveva il cellulare, per dire. Per tutti gli altri è stato un continuo smanettare. Il touchscreen è la prima “persona” da salutare il mattino e l’ultima da cui congedarsi per la buona notte. (Vale anche per noi adulti, no?) Provo a mettermi nei panni dei genitori. Non è mai stato un mestiere facile, ma adesso lo è ancor meno. Mi capita di ascoltare le loro fatiche educative mentre oscillano dubbiosi sul pendolo tra direttività e concessioni. I ragazzi, comunque, sanno sempre sorprendere: li ho apprezzati perché non si sono mai lamentati pur costringendoli a camminare, anche sotto la pioggia. Li ho scarrozzati per le viuzze assisane alla scoperta dei luoghi biografici di san Francesco impedendogli di ciondolare da un negozio all’altro, siamo entrati e usciti da splendide chiese dal sapore romanico e gotico, tuffando gli occhi nelle meraviglie giottesche e in mille altri capolavori a firma italiana. Soprattutto, abbiamo pregato, molto, rimanendo da soli nella cripta del Poverello a basilica chiusa, tutta in esclusiva peer noi, abbiamo celebrato una messa particolare dove i protagonisti sono stati ancora i loro smartphone. Fatevi raccontare. A me è rimasto il sapore di una buona umanità. Spero che in loro lavori l’idea che l’esperienza cristiana può ancora promuovere la loro umanità. Anche se non li vedremo più in chiesa. Per è così che sarà, vero?

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