È COSÌ CHE ENTRA LA LUCE. L’artista RAFFAELE SICIGNANO per la quaresima

È COSÌ CHE ENTRA LA LUCE. L’artista RAFFAELE SICIGNANO per la quaresima

 

Le opere di Raffaele Sicignano non passano indifferenti: toccano lo sguardo per bussare alla porta dell’anima, masticano terra, scavano per tornare al punto originario dell’anima, al cielo che ciascuno si porta dentro, cucito addosso. Nella chiesa di Longuelo, sotto la tenda in cemento, sembrano voler disegnare un percorso preciso: un itinerario fra terra (terre) e cielo (cieli), dalla terra al cielo.

Le opere dell’artista di Pompei, naturalizzato ormai a Bergamo, sono molto materiche: terra, sabbia, cenere, fili di tela o di panno o di tappeto, pane, carbone, cocci, chiodi e persino residui bellici restituiti dai prati dell’ex aeroporto militare di Orio al Serio. Una finestra di terra – oggi trafficata come non mai da milioni di passeggeri ignari – che non ne vuole più sapere di ospitare violenza e morte. È disponibile solo a generare frammenti di pace e giustizia. Ma bisogna darle una mano.

Raffaele valorizza l’arte povera, quella che riciclando i materiali restituisce nuova vita alle cose, nuova dignità alla materia scartata, senza valore, buttata lì nel sottoscala della società dei consumi o dello spreco. Niente muore per sempre, tutto si trasfigura. In lui ci sono assaggi anche di land art. Lui viene da lì. Si inspira l’aria di grandi artisti come Kounellis o Merz. A pieni polmoni.

Per comprendere il lavoro dell’artista, che impreziosisce la nostra tenda e ci prende per mano nel cammino verso la Pasqua, occorre partire proprio dalla terra (quadro 1 e 3), dal basso, dal nostro essere Adamo – che nel linguaggio biblico significa appunto terra, suolo arabile, lavorabile: adāmā. Sicignano fa riferimento innanzitutto alle “sue” terre di origine campana, lavorate e trattate poi sulla tela, plasmate e amalgamate con le mani. Come in un corpo a corpo. Terra è fisicità e dunque è anche pelle e corpo. Ma è anche madre e grembo che genera. È morte e (ri-)nascita, come nel giardino del Grande Inizio dove l’uomo è un impasto di terra e soffio, di terra e cielo. Quella di Sicignano è una terra graffiata, sofferta, che porta incisa nella carne tormento e dubbio. Porta addosso il calpestio del tempo e degli uomini. Si fa carico delle violenze, si carica delle vendette fratricide, come a Gaza. Tanto per essere espliciti e non girarci attorno. Il pensiero “terroso” è memoria autobiografica e nello stesso costringe a fare i conti con violenze ancestrali, quasi ataviche, ma oggi tragicamente contemporanee. Il conflitto israelo-palestinese tornerà nella Passeggiata a Gaza, opera inedita che avremo la fortuna di gustare durante la Settimana Santa quando la passione di Dio sarà un tutt’uno con la passione degli uomini, quando gli uomini – gli sconfitti della Storia, gli ultimi degli ultimi – potranno comprendere che “anche Dio è infelice”, come recita un indimenticabile verso di padre Turoldo. E senza mai essere indifferente all’umano trafitto, il Dio di Gesù di Nazareth ci tiene a farci sapere di essere dalla nostra parte fino alla fine dei tempi, costi quel che costi. Costi l’unico figlio. Nel suo studio di Trescore il tempo sembra essersi fermato al 2003, quando da un ritaglio di giornale occhieggia a caratteri cubitali l’urlo del vescovo di Bagdad: “Fermatevi!”. Ieri come oggi. Oggi come allora. Come sempre. Come se non imparassimo mai.

Dalla prima tela (guardando l’altare a sinistra) fa capolino una x e solo dopo, con più attenzione, si intuisce che da tragico punto su cui mirare e sparare la x potrebbe trasfigurarsi in una croce. Darsi una nuova vita e, perché no, una nuova vocazione. Una piccola croce, appena accennata, non invasiva, si fa spazio su una porta di blu, forza la massa terrosa per lasciar intravvedere qualcosa al di là (o dentro). La terra si fa ospitale. La terra ferita, graffiata, lascia filtrare un’inattesa – ma da sempre agognata – luce dorata. Come nell’insuperabile verso di Leonard Cohen (Anthem): There is a crack, a crack in everything / That’s how the light gets in (c’è una crepa, una crepa in ogni cosa / è così che entra la luce). Le ferite sono sempre anche feritoie. Dall’esperienza del dolore si possono trarre insospettabili doni. E non ti spieghi perché. Mistero e grazia.

Sotto l’altare il percorso continua (quadro 2), da terra a terra, una lunga striscia di cenere, che non può che ricordarci il monito del mercoledì di inizio quaresima: ricordati che sei polvere e che polvere tornerai. Non è spavento ma lezione di finitudine. Il limite che ci fa esistere. È ancora Genesi. Risuona di nuovo, come un basso continuo, la metafora del riciclo (o della conversione?) di tutte le cose che esistono, quelle visibili e quelle invisibili: tutto si trasforma, nulla perisce. Nulla è mai perduto per sempre. La grande striscia lascia spazio al blu oltremare. Sicignano l’ha importato direttamente dalla cappella Scrovegni di Giotto. Il cielo è puntellato non di stelle ma di residui bellici, pezzi di bombe esplose che il tempo ha preferito seppellire ma che tornano a galla dalla memoria della Storia. Dobbiamo farci i conti. Abbiamo imparato a guardare il cielo per esprimere il nostro desiderio (noi siamo esseri desideranti e pellegrinanti, di stelle – sidera – e di terre – agros): perché mai dovremmo aspettarci bombe? Dante ci ha insegnato a cercare e desiderare il paradiso: è stato chiaro, perché dunque questi segnali e segni di morte ad inquinare i pozzi della speranza e annichilire il senso buono della creazione? Basta un’opera d’arte per farci letteralmente piombare nel caos del presente: i bambini – siano essi di Gaza o di Bucha o di chissà quale kibbutz o angolo devastato del mondo – non credono mai che dal cielo possa piovere violenza e morte. Ma solo stelle comete di pace. Come lacrime di gioia.

Un titolo (quadro 3) suggerisce persino che la terra è sorretta dalla luce. L’intuizione non può passare in silenzio. Il capovolgimento è una promessa: siamo sostenuti dalla bellezza abbacinante della luce. Non giochiamo a nascondere le ombre (ci sono, e sono tante, e a volte fanno male), ma è di luce che siamo impastati.

Torna il cielo (quadro 4) e sul tappeto blu intenso e misterico si stagliano (si agitano?) figure impercettibili, quasi oranti che si fanno preghiera, spinte verticali che si oppongono allo strapotere della morte che diluvia ininterrotta. Presenze di rosso e di bianco testimoniano l’infinito in noi, danno voce a quel senso di paradiso che custodiamo nel segreto dell’anima. Trascendono, ci portano oltre, verso altro-da-noi. Il mistero dell’Alterità che ci abita, il Totalmente Altro, rende ragione di ciò che siamo davvero: esseri che desiderano compimento, giustizia, riscatto e non si arrendono all’idea che la vita finisca qui e poi il nulla. Non siamo una parentesi tra due nulla. C’è dell’altro. Sempre. Le opere di Sicignano ci aiutano anche così a introdurre il mistero della risurrezione o trasfigurazione. Nessuna fuga, scarto di lato, ma solo la certezza che in ogni atto di umanità il regno accade, e un pezzo di paradiso è già in mezzo a noi. I vangeli parlano del regno. Il regno è qui. Qui e altrove. Già e non ancora. Nella carne e nello spirito. La nonna napoletana di Raffaele suggeriva ai nipoti: “accattateve ’o bene” (compratevi il bene). Aveva ragione: fare il bene per non lasciare al male l’ultima parola.

A Pasqua introdurremo – oltre la Passeggiata a Gaza – un’altra opera: Illuminatamente tu. È un trionfo di luce, un arancione che ricorda – ancora una volta – i lampi di tuono sulla città. Ma anche i tramonti di sere che sembrano voler annunciare: domani c’è dell’altro.

Ci piace pensare – senza troppe forzature – che la riflessione artistica di Raffaele sia un atto di resistenza alla guerra, un omaggio alla pace, a questa umanità che esiste e ri-esiste. E a questo Dio ostinatamente amante dell’uomo.

L’artista

Raffaele Sicignano nasce a Pompei nel 1970. Frequenta il Liceo Artistico di Napoli allievo di Errico Ruotolo e successivamente l’Accademia di Belle Arti di Napoli dove compie gli studi nel 1994. Vive e lavora a Trescore Balneario (BG). Ha al suo attivo molte mostre personali e collettive. Per ulteriori informazioni si può visitare il sito www.raffaelesicignano.com

Arte per la liturgia

Ormai da diversi anni, in comunità stiamo vivendo l’esperimento di inserire opere d’arte di alcuni amici artisti all’interno della chiesa: Riva,Bonfanti, Casari, Arzuffi, Grimaldi, Consonni, Consoli, Previtali, Bolognini, Benaglia, Verdi, Facchinetti, Piccoli… e tanti altri. Lo scopo non è puramente estetico ma primariamente pastorale: mettere in dialogo l’arte contemporanea con la comunità cristiana che celebra. Siamo consapevoli che la tenda di cemento capace di ospitare le differenti forme artistiche non mai una galleria d’arte.

Le opere di Raffaele Sicignano in chiesa parrocchiale sono visitabili soprattutto il mattino (ore 8.00 > 12.00), prima e dopo le celebrazioni eucaristiche feriali (ore 18.00), il sabato sera prima e dopo messa (18.30) e così domenica (ore 8.00 / 10.30 / 18.30). Oppure si possono visitare in altri orari telefonando allo 035. 23 36 40.