Cammino di San Benedetto: pellegrini e viandanti del ventunesimo secolo

Cammino di San Benedetto: pellegrini e viandanti del ventunesimo secolo

CAMMINO DI SAN BENEDETTO. Ci siamo messi in cammino sulle tracce di Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale e padre – “abbas” – di un’Europa all’insegna della fraternità universale. Abbiamo camminato a nome e per tutta la comunità.
Sessantaquattro piedi hanno percorso l’Appennino laziale per 120 km, dal 15 al 21 maggio, con semplicità, credendo non certo di cambiare il mondo, ma almeno un poco se stessi.
Sono stati sei giorni tosti, segnati dalla fatica dei dislivelli, dal profumo dei fiori di campo, dal verde delle colline e dal sudore che il sole alto ci spremeva dalla pelle, dalle magliette appese allo zaino leggero, dall’acqua di fonte benedetta come se ogni sorso inaugurasse un giorno di nuova creazione.
Siamo stati viandanti (gente o popolo “per via”). Siamo stati pellegrini o peregrini (“per agros”, gente o popolo che attraversa i campi).
Abbiamo avuto incontri con donne e uomini, semplici e umili (“humus”, terra), della Ciociaria che inevitabilmente ricordava i film di quell’incantevole stagione cinematografica che è stato il neorealismo italiano.
Abbiamo incrociato un paesaggio inviolato, a tratti selvaggi, fatto ancora di muli e di legna tagliata sul posto, fatto di contadini resistenti che snocciolano piselli e offrono nocino, dove però l’incuria e l’incustodia dell’uomo (e il disinteresse delle istituzioni) non trattengono lo spopolamento né rimediano l’abbandono del territorio. Boschi e sottobosco a non finire, senza alpeggi né prati a lasciarsi falciare. Villaggi e paesi per pochi perché sono villaggi e paesi che non possono promettere molto ai giovani. Eppure, che incanto il sapore della terra e della pietra che ha edificato scrigni di memoria e di arte.
E, poi, l’incontro con i monaci, figli di Benedetto e della sua Regola (con le sue continue riforme), ultime sentinelle a vegliare e dire l’impossibile o l’improbabile di una Parola che non sembra più riuscire a fecondare l’Occidente. L’incontro con quella “Regola” benedettina che aveva creato così tanto e così bene un nuovo ordine mondiale, disegnando quell’umanesimo evangelico destinato a geografare cultura, arte, vita. Monaci che a volte, però, consegnano l’amara sensazione di essere solitarie sentinelle (evangelicamente inutili”) sul baratro del Vuoto di Senso o del Nulla, disponibili però a lasciarsi interrogare come la vedetta di Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?” E la sentinella risponde: “Viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!”
Lungo il cammino ci siamo fatti accompagnare dalla solenne Regola che incarnava lo spirito universale di giustizia, fraternità aprendo l’uomo alla trascendenza nelle sue tre direttrici dell’alterità: all’interno, in profondità (per una cura del Sé), all’esterno orizzontale (per una custodia di ogni prossimità), all’alterità verticale (e che potremo chiamare anche Dio). Ci hanno accompagnato anche testimoni importanti: da Camus a Spinelli e Rossi, da  Sassoli a Prodi e Rumiz, da Francesco a Martini… profeti che hanno creduto nella speranza di un’Europa di fraternità, giustizia e democrazia.
E, poi, perché tacere del bello dello stare insieme, condividere tutto, ma proprio tutto, e prendersi per mano come se ci fosse un domani di fraternità possibile per tutti?